"Una squillo per l'Ispettore Klute" (1971) di Alan J. Pakula
- alessandrogasparin1
- 3 lug
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Aggiornamento: 5 lug
È passato poco più di un anno dalla morte dell’icona del cinema internazionale Donald Sutherland, che ci lasciava il 20 Giugno 2024. Solo in tempi recentissimi ho visionato nuovamente un classico poco ricordato, conosciuto e visto la prima volta quando ero un liceale e acquistavo per pochi euro vecchie VHS ex-nolo nelle videoteche di Taranto, mia città d’origine. A inizio anni 2000 i videoclub storici dismettevano i loro archivi su nastro in favore del DVD, anche se di li a poco questo tipo di esercizio commerciale avrebbe chiuso i battenti travolto dalla fruizione immateriale di audiovisivi.

"Una squillo per l'Ispettore Klute" (Klute) (1971) di Alan J. Pakula, regista dedito al thrilling e all’intrigo politico che avrebbe in seguito diretto tra i vari “Tutti gli uomini del presidente” (1977) e “Il rapporto Pellican” (1990), è una pellicola straordinariamente evocativa e inquietante per merito della fotografia (Gordon Willis) e della regia. La trama vede l'ispettore John Klute (Sutherland) incaricato delle indagini sulla scomparsa dell’amico Tom Gruneman, dirigente di un'azienda della Pennsylvania. Grazie ad una lettera che questo aveva lasciato sulla sua scrivania, Klute risale a Bree Daniels (Jane Fonda), squillo di New York che gradualmente lo introduce nel mondo della prostituzione della Grande Mela, dove un serial killer ha già all’attivo alcune vittime. Ben presto la collaborazione fra i due si trasforma in una relazione sentimentale.
L’impatto visivo restituisce una prospettiva a tratti oscura, sfocata e quasi confusa, ma sufficiente a rendere incredibilmente vivida l’idea della paranoia lungo tutta la durata dell’opera. Fonda è superbamente perfetta, così tanto da meritare l’Oscar come Migliore Attrice Protagonista nel 1972, mentre Sutherland seppur adombrato veste in modo magnifico i panni dell’uomo integerrimo della provincia americana, regalando un personaggio legato a certi valori e alla ricerca della verità a tutti i costi. Punto di forza è anche la colonna sonora di Michael Small, che alterna momenti di tensione e claustrofobia a esplosioni rock e funk che esprimono il mood della città che non dorme mai. Narrazione e sviluppo vengono arricchiti da dettagli che ne esaltano i momenti apparentemente morti, quali conversazioni audio registrate, rumori di fondo, inquadrature strategiche e la metropoli immortalata come una grande essere vivente che segue i protagonisti con il fiato sul collo.


Quando vidi per la prima volta il lungometraggio in oggetto, oltre venti anni fa, lo accostai in virtù di tali componenti stilistiche ad altri due lavori dell’epoca che amo da sempre. L’abile messa in scena dell’angoscia, delle ossessioni e della già menzionata paranoia attraverso ritmo e soluzioni registiche, così come delle scelte cromatiche e sonore, rende a mio avviso “Klute” contiguo a “L’uccello dalla piume di cristallo” di Dario Argento (1970) e “Ispettore Callaghan: Il caso Scorpio è tuo!” (Dirty Harry) di Don Siegel (1971). I tre film condividono, pur con le rispettive differenze, la sapiente arte di imprimere su celluloide la sensazione di panico, e soprattuto di permeare della stessa l’animo dello spettatore. Curiosità, il personaggio di Bree Daniels sarà omaggiato anni dopo dal fumettista Tiziano Sclavi nella fortunata serie Dylan Dog, che a partire dall’albo del 1988 “Memorie dall’invisibile” la vedrà come presenza secondaria ma ricorrente.



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